Sicilia

Regione Sicilia

Sicilia, terra di miti e di storia

Anticamente nota come Trinacria (tre punte) per via dei suoi tre promontori, quest'isola sorge al centro del Mediterraneo. Il suo simbolo è costituito da una testa di Gorgone da cui si dipartono, a raggiera, tre gambe che si rincorrono.
A causa della sua posizione strategica, la Sicilia è stata meta, nel corso dei secoli, di innumerevoli invasioni da parte delle più svariate popolazioni (fenici, greci, romani, bizantini, normanni, arabi), che le hanno regalato un bagaglio storico e culturale senza eguali nel mondo, e ne hanno fatto, insieme alla Grecia, la culla della civiltà occidentale.
Da un punto di vista geografico, la Sicilia è l'isola più grande del Mediterraneo e dista circa tre chilometri dall'Italia peninsulare, da cui è separata dallo stretto di Messina, mentre il Canale di Sicilia la separa dall'Africa, distante circa 140 km. Due mari lambiscono le sue coste: il Tirreno (a nord e ad ovest) e lo Ionio (ad est). Al suo interno si delineano tre grandi valli: la Val Demone a nord-est, la Val di Noto a sud-est e la Val di Mazara ad ovest. Tanto incantevoli quanto famosi sono poi gli arcipelaghi minori che circondano quest'isola: quello delle Eolie, comprendente Ustica e Panarea; quello delle Egadi, di cui fa parte Pantelleria e quello delle Pelagie, che include l'isola italiana più vicina all'Africa, Lampedusa.
Le sue nove province, Agrigento, Catania, Caltanissetta, Enna, Messina, Palermo, Ragusa, Siracusa e Trapani sono ricche di testimonianze storiche ed artistiche di gran rilievo: come non ricordare, infatti, la valle dei templi di Agrigento? Dalla rupe Atenea lo spettacolo dei templi, con il mare sullo sfondo, è uno dei più suggestivi dell'isola. Questo scenario assolutamente eccezionale è arricchito dalla precoce fioritura dei mandorli nella valle e si può ammirare già a partire dal mese di febbraio.
E che dire del castello di PietraRossa o della chiesa di Sant'Agata a Caltanissetta? Sono eguagliati solo dallo spettacolo che si offre alla vista di chi si reca nella città di Siracusa, fatto di pietre barocche che sfidano la bellezza degli antichi templi greci, ma anche di mare e di oasi naturalistiche. Insomma, ogni città siciliana è un trionfo di storia e di arte, ma anche di profumi e di sapori, che rendono quest'isola unica al mondo.
Un clima mite ed una natura per certi aspetti incontaminata, isole ed isolette meravigliose, le più belle spiagge del Mediterraneo, fondali marini incantevoli, vulcani attivi, monti e pianure, fanno della Sicilia una meta turistica imperdibile.
Proprio il suo clima, più secco e caldo verso la costa e più mite all'interno ha permesso lo sviluppo di una ricca cultura enogastronomica.
Con i suoi trentatré prodotti protetti, la Sicilia è in grado di offrire un ampio tributo alla cultura gastronomica mediterranea. A sottolineare lo stretto legame che in quest'isola esiste tra arte, cultura, cibo e musica, basta ricordare le "pennette alla Norma", ricetta creata in onore del musicista siciliano Bellini che compose tale opera, a base di melanzane, pomodoro e ricotta. Quest'ultima può essere sostituita con il Pecorino siciliano, uno dei sette prodotti D.O.P. locali. Tra gli altri prodotti tipici non possono non essere citati la Nocellara del Belice, una gustosa oliva da tavola, e due I.G.P. di tutto rispetto: i Capperi di Pantelleria e le arance rosse di Sicilia.

SICILIA, TERRA DEI BUONI FORMAGGI

Formaggio Ragusano
Il Ragusano, di origini antichissime, è uno dei formaggi appartenenti alla tradizione casearia locale ragusana. La sua storia è strettamente legata allo sviluppo dal latifondo e dalla coltura del grano in Sicilia.
Da sempre circoscritto e limitato al solo mercato interno siciliano ed espressione della cucina povera, solo recentemente grazie all'evoluzione delle strutture produttive, commerciali e cooperative nella regione, il Ragusano si è affermato anche al livello nazionale come prodotto di qualità. Deve la sua ‘specificità’ alla qualità del latte perché prodotto da vacche di razza Modicana che pascolano le assolate pendici dei monti Iblei, ricchi di specie foraggere aromatiche.
Il latte di due mungiture  viene lasciato inacidire  naturalmente per 24 ore. Dopo la rottura della cagliata, si cuoce la pasta con acqua calda e si lavora a ‘sfogliatella’, fino a raggiungere una consistenza gommosa. Dopo queste operazioni, la massa viene sistemata in apposite sagome di legno massiccio o ‘mostredda’, che daranno la tipica forma di parallelepipedo al formaggio.
La salatura si effettua per bagno in salamoia per circa 48 ore. Le forme, legate con funi sottili a coppie, vengono disposte a cavallo di appositi sostegni e lasciate a maturare per 4-6 mesi, fino ad un anno, in ambiente fresco e con un’umidità dell’80-85%. Sono poi trattate con olio d’oliva e accatastate nel medesimo locale di stagionatura: l’operazione di ‘cappatura’ con olio d’oliva deve ripetersi ogni 40-60 giorni.
Il Ragusano può essere anche affumicato, in tal caso assumerà un aroma particolare.
Il prodotto finito si presenta di forma parallelepipeda a sezione quadrata con angoli leggermente smussati di dimensioni 17x17x53 cm, con peso variabile dai 6 ai 18 kg. Ha una crosta liscia, sottile (con spessore max 4 mm), di colore giallo pallido nei primi mesi di stagionatura, giallo intenso o marrone nell’avanzare della stagionatura.
La pasta è compatta e morbida nei primi mesi, dura e friabile successivamente.
Il sapore inizialmente dolce,  evolve al piccante e sapido. Ha aroma caratteristico che riassume in sé una serie di componenti ambientali, pedologiche, climatiche e zootecniche. E’ un formaggio da ‘tavola’ nei primi quattro mesi di stagionatura, da ‘grattugia’ successivamente.

Il canestrato
Il tipico formaggio Canestrato è prodotto esclusivamente cl latte intero di vacca e caglio d’agnello; tuttavia esiste una discreta produzione dello stesso tipo di formaggio a partire da materia prima mista: in questo caso la percentuale del latte delle diverse specie è variabile tra i produttori e in funzione della disponibilità.
Il Canestrato è così denominato per i rilievi che assume impressi dal canestro.
A testimoniare le origini antichissime sono le numerose citazioni storiche , risalenti al 1400 che lo annoverano tra i prodotti da versare annualmente come prezzo d'affitto del latifondo. La caseificazione artigianale si avvicina alla tecnologia del ‘Pecorino siciliano’, infatti si pensa che la sua produzione sia nata  dall’esigenza di ottenere un prodotto similare utilizzando latte bovino. Anch’esso  è ottenuto dalla coagulazione prevalentemente presamica di latte crudo, intero ad acidità naturale.
Il latte crudo è portato a 35 °C addizionato di ‘quacchiu’, caglio liquido o in pasta di agnello o capretto. Dopo la coagulazione e la rottura del coagulo, la cagliata è estratta manualmente e pressata in canestri di giunco ‘fascedde’ che vengono immersi in siero a circa 90 °C per 1-4 ore a seconda del peso delle forme.
Terminata l’estrazione  i cesti sono trasferiti su tavolieri di legno dove sostano 24-48 ore a temperatura ambiente.
Terminata la fase di spurgo e di acidificazione, il formaggio viene estratto dai canestri e salato con sale marino fino.
Il Canestrato così ottenuto è commercializzato come prodotto fresco, altrimenti è ulteriormente salato e stagionato in locali freschi e ventilati per 3-8 mesi. Si presenta di forma cilindrica, con diametro di 18- 35 cm e uno scalzo di 12-28 cm.
La crosta si presenta sottile e rugosa di colore ocra, mentre la pasta ha un colore giallo paglierino, più intenso in prossimità della superficie.
Il formaggio fresco ha un gusto dolce ed una consistenza morbida, mentre lo stagionato è più piccante con un odore pungente e una consistenza dura e compatta.
Può essere utilizzato come prodotto da ‘tavola’ o da ‘grattugia’.     

Pecorino Siciliano
In Sicilia gli ovini rappresentano il 58% del patrimonio zootecnico. Con poco meno di 1300000 capi, la Sicilia, dopo la Sardegna è la regione con il maggior numero di capi ovini.
Per questo il formaggio storico per eccellenza è il Pecorino Siciliano. A questo formaggio è stata da tempo attribuita la denominazione di origine controllata (DPR 30/10/1955 n. 1269). E’ un formaggio prodotto stagionalmente da latte di pecore allevate al pascolo. E’ ottenuto dalla coagulazione prevalentemente presamica di latte crudo, intero, addizionato al caglio in pasta di agnello o di capretto.
Ha una maturazione media (3-6 mesi) di tipo proteolitica - lipolitica. E’ di forma cilindrica e di peso variante dai 5 ai 20 kg. La superficie ha la forma del canestro tradizionalmente usato per la cagliata. La crosta è sottile, rugosa che varia dal colore bianco – giallognolo se fresco, al giallo ambrato se stagionato. La pasta è compatta bianco – giallognola nel formaggio fresco, giallo paglierino in quello stagionato, con scarsa occhiatura. Di sapore piccante e sapido, odore pungente e gradevole viene utilizzato come prodotto da tavola o da grattugia.
Lo si può gustare con le Fettuccine secondo la ricetta che vi proponiamo.

Il Piacentino
Il Piacentino è prodotto nella provincia di Enna. L’etimologia del nome è al momento incerta. Alcuni sostengono sia un formaggio proveniente da Piacenza, altri che la forma ricorda il Cacio Piacentino, tutte ipotesi dalla credibilità incerta.
Vista la tradizionalità siciliana del prodotto sembra più ovvio pensare che derivi dal termine  dialettale “piacentinu” ovvero ‘formaggio che piace’.
Il Piacentino è una variante del Pecorino Siciliano. Se ne differenzia perché viene aromatizzato con zafferano selvatico, che conferisce una colorazione più gialla alla pasta, oppure, in alcune zone, perché addizionato anche di pepe nero in grani.
E’ prodotto con latte di pecore allevate al pascolo. Ha una coagulazione prevalentemente presamica ad acidità naturale o a parziale acidità di fermentazione, è addizionato al caglio in pasta di capretto o agnello e di zafferano nella dose di 2 gr/l.
Dopo la coagulazione, la cagliata viene rotta violentemente con  la ‘ruotula’, portata ad una temperatura di circa 60 °C con l’aggiunta di acqua calda e lasciata a riposare per 20 minuti. La ‘tuma’ così ottenuta, viene messa nelle forme di giunco e, dopo esser rivoltata, è immersa nel siero caldo per un periodo di 5-6 ore. Tolta dalle forme, viene riposta a terra nel locale di stagionatura e, dopo due giorni, si inizia la salatura a secco con sale di salgemma. Il periodo di salatura varia dai venti ai trenta giorni, in funzione della dimensione della forma. Completata la fase di salatura si passa alla pulitura e strofinatura periodica del Piacentino per circa 2 mesi, usando l’accortezza di rivoltarlo. Dal terzo mese in poi si effettua la ‘curatura’ spalmando sulla forma tutti i liquidi fuoriusciti dal formaggi.
Una buona forma di Piacentino si ottiene dopo circa quattro mesi di stagionatura.
Ha forma cilindrica a facce lievemente concave recanti l’impronta del canestro.
Il peso medio va dai 6 ai 12 kg, con uno scalzo di 22-28 cm e un diametro di 35 cm.
La pasta è di colore giallo uniforme, compatta morbida al taglio e non presenta occhiature. L’odore è delicato e ha un sapore lievemente sapido, di zafferano.
In funzione della durata della stagionatura si può arrivare a due prodotti sostanzialmente diversi: infatti dopo una manutenzione di 15 giorni si ottiene un buon formaggio da tavola, ‘primosale’, che diventa da ‘grattugia’ solo dopo 4 mesi.

la Provola di Nebrodi

E’ originaria di una delle zone più belle della Sicilia: I Nebrodi. Sulle montagne si possono vedere tutt’oggi le vacche pascolare ed alimentarsi di soli pascoli naturali. E’ prodotta ancora in modo artigianale dalle mani esperte di casari locali che si tramandano di padre in figlio la tecnica per mantenere in vita una tradizione millenaria, nonostante costi impegno e fatica.
Il peso è di circa 1 kg. La forma è oblunga a pera, sormontata da breve collo e testina a palla. Ha una crosta sottile di colore giallo paglierino tendente al giallo ambrato man mano che si avvicina alla massima stagionatura.
Ha un odore inconfondibile; il colorito della pasta è bianca tendente al paglierino; la consistenza è morbida e compatta, il sapore e dolce e delicato, lievemente acidulo tendente al piccante con il passare del tempo.
Si ritrova in coppia ‘a cavallo’ di una pertica per tutto il periodo della stagionatura. Si riconosce dal marchio      che significa NEBROS, perché spesso la forma varia a seconda del casaro che l’ha modellata.
Ognuno di loro dà alla chiusura del collo una forma diversa come se fosse un marchio personale.
E’ possibile gustarla come formaggio da tavola o cucinarla in mille modi diversi.
Proponiamo questa antica ricetta.

La Vastedda della Valle del Belice
La Vastedda della Valle del Belice, è un formaggio a pasta filata ottenuto dal latte ovino intero ad acidità naturale di fermentazione. Viene caseificata durante i mesi estivi dal latte della Pecora della Valle del Belice, che proprio nel periodo più caldo dell’anno acquisisce le caratteristiche essenziali per essere lavorato e trasformato in questo pregevole prodotto caseario. Solo in estate, infatti, il latte diviene più ricco di aromi intensi e di componenti che ne consentono il tipico procedimento di lavorazione: un’antichissima tradizione ereditata a custodita gelosamente dai Maestri Casari di questa Valle.
Non sono noti, in Italia, altri formaggi ottenuti con questo tipo di procedimento artigianale. Riconoscibile grazie alla forma piccola e delicata e al colore avorio tenerissimo della pasta, dovuto all’utilizzo del latte di pecora, la Vastedda si consuma fresca, subito dopo la caseificazione.
In ambienti freschi e asciutti si può conservare per qualche tempo, fermo restando che non è un prodotto idoneo alla stagionatura, ma che si apprezza soprattutto per il suo sapore fresco e gradevolmente acidulo. Il sapore delicato della Vastedda può essere esaltato se accompagnato ad altre essenze mediterranee, quali olive, pomodori ed altri ortaggi di stagione, o con altri prodotti della tradizione coonserviera, come carciofini, melanzane, pesci salati e sott’olio.
La Vastedda della Valle del Belice, al pari di molti prodotti caseari freschi, è da considerarsi un’eccellente  ed equilibrata fonte di principi nutritivi fondamentali per l’organismo, e pertanto può essere indicata per soggetti di tutte le età.
Innanzitutto, la Vastedda rappresenta un’ottima fonte di rifornimento proteico per l’organismo; pertanto si ritiene utile suggerirne il consumo secondo un’opportuna rotazione alimentare con altri cibi a spiccata composizione protidica.
Il contenuto proteico risulta superiore rispetto agli altri formaggi ovini freschi, e questo è dovuto alla particolare tecnica di lavorazione del prodotto che causa il dilavamento del grasso durante il processo di filatura della pasta e il conseguente aumento, a parità di peso, delle proteine presenti. Questo determina anche una spiccata leggerezza e digeribilità.
Essendo un formaggio fresco, fornisce all’organismo un discreto apporto di vitamine liposolubili, primariamente di vitamina D, detta anche calciferolo, indispensabile per il processo di fissazione del calcio nelle ossa.
Il calcio necessario a questa funzione viene simultaneamente ingerito, insieme al fosforo, in quanto parte integrante dei componenti della Vastedda della Valle del Belice.

Vastedda alla Caterina
Preparare la Vastedda a fette mediamente sottili e predisporle su un piatto ovale da portata, alternandole con fettine di pomodoro fresco.
Spezzettare le acciughe e disporle in ordine sparso sulla pietanza. Attorno ad essa, aggiungere ancora pomodoro tagliato a piacere, olive verdi, ancora Vastedda tagliata a cubetti, basilico, e condire il tutto con olio extra vergine di oliva.
Servire fresco come antipasto o come secondo piatto estivo.
Ingredienti per 4 persone
una formetta di Vastedda della Valle del Belice, tre pomodori insalata, acciughe sott’olio, olive in salamoia, due foglioline di basilico fresco, olio extra vergine di oliva, essenze mediterranee a piacimento.
Per accompagnare: pane di semola di grano duro, vino della Valle del Belice.

Gastronomia
La Sicilia, si sa, è terra del Sole, che i greci che qui si stanziarono immaginavano condotto su un carro dalle ruote infuocate dal bellissimo Dio Apollo. Nessuno stupore dunque nell’ammirare e nell’assaggiare gli agrumi deliziosi e profumati di questa terra, che incantano lo sguardo ancora prima della vista.
Ma senza dubbio anche la cucina qui si è sviluppata come un’arte per valorizzare ancora di più i prodotti della natura.
Sulle belle tavole imbandite, con i bordi delle tovaglie che svolazzano solleticate dal vento, compaiono portate deliziose e dal nome quasi storico, come la celebre pasta alla Norma, la quale prende il nome da un’opera del celebre compositore catanese Vincenzo Bellini, o il cosiddetto ”ripiddu nivicato”, cioè lapillo innevato, un gustoso risotto nero condito con ricotta e peperoncino.
Un po’ dovunque è possibile gustare gli arancini di riso, ripieni di riso e formaggio e in alcuni casi anche di carne.
Senza dimenticare il delizioso pesce della regione, di numerosissime qualità, accompagnato piacevolmente dalla tradizionale caponata, a base di peperoni, che è più facile assaggiare che descrivere, per il suo sapore tutto da gustare.
Se la calura coglie impreparati, un momento di rilassante ristoro viene offerto dai numerosi chioschi che vendono granite deliziose, che oltre ai gusti tradizionali offrono moltissime varianti interessanti tutte da provare, come ad esempio la granita al caffè con brioche o cornetto che viene da molti gustata al mattino come fresca ed insolita colazione, o la brioche ripiena di gelato, perché non bisogna dimenticare che il gelato, dopotutto, è nato proprio in Sicilia.
 

 

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